Come il senso dell’umorismo allunga la vita

 

 

LORENZO L. BORGIA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 22 ottobre 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: AGGIORNAMENTO /DISCUSSIONE]

 

“… quando ci diamo arie da zii virtuosi, allora abbiate pazienza… non vorrei… ma che dovrei fare? Io ho la milza turbolenta, scoppio a ridere.”

[Persio, Satire - satira prima]

 

“La vita senza allegria è come una lampada senza olio.

[Walter Scott]

 

 Ritroviamo il riconoscimento empirico dell’importanza del buon umore già nelle radici greche della cultura europea che, con le tradizioni letterarie e i costumi latini, hanno attraversato secoli e mari diffondendo forme e stili del pensare, dello scrivere e dell’agire che hanno il loro fulcro nell’evocazione di uno stato d’animo incline al sorriso o al riso.

L’umorismo, la satira, la descrizione di circostanze divertenti o di persone buffe che genera effetto comico erano presenti nella commedia greca antica originando, secondo Aristotele, dai canti fallici che accompagnavano le processioni dionisiache. Attraverso le tradizioni latine ci è giunta notizia di Epicarmo, quale primo autore comico della storia, e soprattutto di Aristofane, con i testi di undici sue commedie divenute modello per le epoche successive; ma tracce e documenti lasciano supporre una vasta e imponente eredità letteraria[1]. Persio, nelle Satire, così ci dà notizia del costume diffuso di provocare ilarità generale con orecchie d’asino, becchi di cicogna e linguacce come quelle che si allungano al soffio sonoro per gli sberleffi carnevaleschi: “Tu scherzi, mio calvo grassone, con quel tuo ventre di maiale che ti precede di un piede e mezzo. O Giano, cui nessuna cicogna dette mai becchi nella schiena, cui nessuna agile mano contraffece dietro le spalle bianche orecchie d’asino e cui nessuno dietro allungò la lingua quanto una cagna di Puglia assetata!”[2].

In Europa, il Medioevo cristiano non abbandonò questa tradizione e il Piovano o Pievano Arlotto[3] sdoganò nell’austero stile di vita dei credenti - scandito all’epoca dai digiuni e dalle penitenze delle quattro tempora - motti di spirito, facezie e burle diventate proverbiali anche grazie ad una letteratura popolare fiorita nel corso del Rinascimento e conservata in Firenze nelle epoche successive[4]. Proprio ispirandosi al Piovano Arlotto, San Filippo Neri faceva ricorso ad orecchie d’asino e alle altre forme di burla caricaturale note fin dal tempo degli antichi romani, per correggere vizi e difetti di allievi e confratelli[5].

Nelle epoche seguenti la cultura italiana è rimasta un punto di riferimento importante per la comicità e l’umorismo, basti pensare alla commedia dell’arte e al divertimento originato dal lavoro più profondo e meditato di Gozzi e da quello più popolare e immediato di Goldoni. Si può dire, senza tema di errore, che dove e quando si è avuto uno sviluppo intenso ed una presa sociale rilevante della cultura umanistica, vi è stata una parallela crescita di consapevolezza dell’utilità dell’esercizio intelligente del gioco umoristico e dell’esperienza della dimensione grottesca o esilarante della realtà per promuovere e coltivare una disposizione d’animo positiva.

Gli scritti brillanti, le descrizioni caricaturali e le costruzioni sintattico-semantiche in grado di suscitare il riso non sono certo mancate nel panorama letterario europeo, così come non è mancato l’interesse sia pur sporadico dei filosofi, ma perché si abbiano dei saggi analitici intesi a comprendere la natura del comico e dell’umoristico si dovrà attendere la fine del XIX secolo. In quel periodo, il filosofo Kuno Fischer spiega il rapporto fra la battuta spiritosa e la comicità con l’aiuto della caricatura che, secondo lui, sarebbe intermedia fra le due[6], e un altro filosofo, Theodor Lipps, pubblica un impegnativo saggio su comicità ed umorismo[7] che costituirà la base di partenza per il celebre scritto di Freud Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio[8].

Lo studio scientifico degli effetti salutari del buon umore, dell’affettività a questo connessa e del ridere è relativamente recente ed è stato la base per lo sviluppo di tecniche di esercizio psicologico anche a fine terapeutico. Tutto questo ambito di studi è documentato e discusso nel saggio di Giuseppe Perrella Le basi e l’uso degli effetti benefici di umorismo e risate (disponibile anche in pdf nella sezione “IN CORSO” del sito), al quale si rimandano tutti coloro che non l’abbiano ancora letto.

Romundstad, Svebak, Holen e Holmen hanno realizzato il primo studio che ha indagato il rapporto fra senso dell’umorismo e sopravvivenza in relazione a specifiche malattie, mediante un monitoraggio durato 15 anni per un progetto dell’Università Norvegese di Scienza e Tecnologia e del Dipartimento di Salute Pubblica della Norvegia[9].

Il senso dell’umorismo deve essere tenuto distinto dall’esperienza del divertimento che può esprimersi con la risata. Il sense of humor è piuttosto una capacità, una qualità dell’intelligenza, una dote che consente di cogliere l’aspetto comico di fatti, circostanze, eventi o condizioni, e contribuisce alla comprensione di motti di spirito e trame dal contenuto paradossale, ironico, sarcastico o satirico. Da ciò deriva che il senso dell’umorismo può essere considerato una risorsa a disposizione di chi lo possiede, ma le conseguenze positive potenzialmente insite nel suo esercizio dipendono dal suo effettivo impiego che, nonostante le propensioni di una persona e la sua buona volontà, deve fare i conti con la realtà in cui è immersa.

Si comprende, perciò, l’interesse suscitato da questo studio che non pone in relazione con la salute una misura dell’esperienza di positive affect[10] cui è esposta una persona, ma mette direttamente in rapporto con la sopravvivenza il possesso di una facoltà cognitiva.

Romundstad e colleghi hanno seguito per tre lustri 53.556 partecipanti al Nord-Trøndelag Health Study valutando componenti cognitive, sociali e affettive del senso dell’umorismo, ed hanno stimato con l’HR (hazard ratios) l’associazione con 1) tutte le cause di mortalità; 2) mortalità da malattie cardiovascolari; 3) mortalità da infezioni; 4) mortalità da cancro; 5) mortalità da malattie polmonari croniche ostruttive.

Dopo correzioni multivariate, gli alti punteggi nella componente cognitiva del senso dell’umorismo erano significativamente associate con una più bassa mortalità in assoluto (da tutte le cause) nelle donne, ma non negli uomini. La mortalità da malattie cardiovascolari era significativamente più bassa nelle donne con alti punteggi nella componente cognitiva; gli alti punteggi nella cognizione umoristica erano associati anche ad una più bassa mortalità da infezioni sia negli uomini che nelle donne. Interessante rilevare che le componenti sociali ed affettive del sense of humor non facevano registrare un’associazione con la sopravvivenza.

Sul totale della popolazione esaminata, l’associazione positiva tra la componente cognitiva del senso dell’umorismo e la durata della vita era presente fino agli 85 anni.

Commentando l’esito di questo studio, in attesa che si scoprano i meccanismi molecolari e cellulari alla base di questa influenza, si può arguire una rilevante mediazione psiconeuroimmunologica, soprattutto in relazione alla maggiore sopravvivenza da malattie infettive sia nel sesso maschile sia in quello femminile. Per i risultati che evidenziano una differenza di genere, si può supporre la presenza negli uomini di fattori che neutralizzino gli effetti positivi del possedere senso dello humor. Avere questa risorsa, la cui natura è più propriamente definita in termini cognitivi, consente di sviluppare più spesso stati funzionali del cervello corrispondenti ai positive affects, la cui influenza favorevole sulla salute è da tempo nota e indagata[11].

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza ed invita alla lettura degli scritti di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Lorenzo L. Borgia

BM&L-22 ottobre 2016

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] A parte il testo completo dell’opera Il Misantropo di Menandro, rinvenuto nel 1956 in un lotto di papiri acquistato dal collezionista ginevrino Martin Bodmer, sono noti e studiati circa 1500 fra frammenti e titoli di opere brillanti e comiche.

[2] Aulo Persio Flacco, Satire (Saturarum Liber, con testo latino a fronte), pp. 131-133, Rizzoli, Milano 1959. Si intende: solo Giano bifronte che può vigilare alle sue spalle può dirsi immune dal ricevere tali beffe. Infatti, il testo prosegue: “Ma voi che siete di sangue patrizio e dovete vivere con l’occipite cieco, guardatevi da chi vi fa le smorfie alle spalle!”. Per la figura della lunga lingua protrusa e penzolante tipica del cane ansimante dal caldo, si cita la Puglia perché era, a quell’epoca, terra assolata ed arida per antonomasia. Persio nasce nel 34 d.C., e già nel 50, conoscendo Anneo Cornuto, stoico in contatto con la famiglia di Seneca, va incontro ad una conversione oraziana che lo farà approdare alla satira.

[3] Il presbitero fiorentino Arlotto Mainardi (1396-1484) era soprattutto dedito ad una costante missione pastorale che lo vedeva quotidianamente leggere le sacre scritture dinanzi alle botteghe di artisti ed artigiani impediti a farlo dal lavoro e talvolta analfabeti.

[4] Ricordiamo che lo stesso Leonardo da Vinci raccoglieva “facezie” e storielle divertenti o esemplari.

[5] San Filippo Neri (Firenze 1515 – Roma 1595) fu detto anche il “Giullare di Dio” o il “Santo della Gioia”.

[6] Kuno Fischer, Über den Witz, 2a ed., Heidelberg, 1889.

[7] Theodor Lipps, Komik und Humor, Amburgo e Lipsia, 1898.

[8] Sigmund Freud, Der Witz und seine Beziehung zum Unbewußten, F. Deuticke (editore), Austria e Germania, 1905; edizione internazionale in Freud S., Gesammelte Werke, Imago Publishing Co., London 1941.

[9] Romundstad S., et al. A 15-Year Follow-Up Study of Sense of Humor and Causes of Mortality: The Nord-Trøndelag Health Study. Psychosomatic Medicine 78 (3): 345-353, 2016.

[10] Si definisce positive affect (PA) uno stato mentale (feeling) che riflette un certo grado di impegno piacevole con l’ambiente come nel caso della felicità, della gioia, dell’eccitazione (allegria) e della contentezza. Cfr. Anna L. Marsland et al., Positive Affect and Immune Function, in Psychoneuroimmunology (Robert Ader, editor), Vol. 2, p. 761, AP, 2007. Tale definizione è stata ripresa da Clark (1989).

[11] I PA riducono mortalità e morbilità, riducono lo scompenso da stress, agiscono sia direttamente sull’asse adrenomidollare e su quello CRH-ACTH-Cortisolo, sia indirettamente mediante oppioidi endogeni; infine migliorano molti parametri della risposta immunitaria e riducono la suscettibilità alle infezioni delle vie aeree superiori (Cfr. Marsland A. L., et al., op. cit.).